Andare a Napoli per un convegno di medici è stata una vera immersione negli stimoli, che sono arrivati abbondanti da fuori e da dentro.
Ovviamente in contemporanea!
Complessità, cura, cambiamento, fioritura personale e del sistema erano i miei obiettivi, un bel po’ ambiziosi per il tempo a mia disposizione.
Ma credo davvero sia quello di cui i dottori (e tutti noi) hanno più bisogno ora: una base d’appoggio, su cui poi costruire anche altro.
La città mi ha dato la sua benedizione e allora ci ho provato: direttamente sui muri ho trovato cuori che fioriscono. E colori pazzeschi. E cibo delizioso. E persone gentili. E una gran vitalità, bellissima.
Ci sono stati gli incontri programmati con i medici, i confronti con la società di comunicazione e il committente, le cene congressuali, gli orari da rispettare e i cambi programma, i trasferimenti e i confronti con i tecnici informatici.
Tanto, che non vivevo da tanto.
E poi ci sono state le facce divertite dei partecipanti (con le mascherine!), le risate inaspettate, le domande, le curiosità, le richieste del come si fa…e poi i complimenti in corridoio, le domande un po’ più personali a tavola e le richieste di pareri in plenaria.
Questa parte è quella che mi sorprende sempre per la sua impossibilità di essere prevista e controllata.
È quella che prende la maggior parte dell’energia e allo stesso tempo la fonte della rigenerazione personale.
C’è tanta voglia di prendersi cura e ce n’è molto molto bisogno, anche da parte di chi ha il compito di curarci. “Medico cura te stesso” dicevano gli antichi, noi abbiamo provato a farlo in pratica, insieme, in modo artigianale e sicuramente parziale ma -ne sono certa- abbiamo fatto il nostro meglio.
E va bene così.
Grazie Napoli, anche stavolta hai lasciato il segno (il giorno dopo però divano! 😅).