Mettersi in bolla.

Di solito dico esattamente così: dobbiamo imparare (o ricordare) come fare a rimetterci in bolla, in un mondo che muta continuamente e che non sembra offrirci appigli stabili e certi.
Un’epoca intensa e faticosa, soprattutto a livello mentale ed emotivo.
Lo dico da tanto tempo, così tanto che non ricordo quando ho cominciato a usare questa frase: forse l’ha condivisa un partecipante ai corsi di formazione esperto in fai da te, forse l’ho pensato guardando mio padre usare la livella, forse dentro di me me lo dicevo già prima di pronunciare le parole ad alta voce.
Uso questa descrizione perché mi sembra comprensibile da tutti e mi consente di passare velocemente al cosa possiamo fare per prenderci cura di noi e nutrire la nostra bolla.
Mettersi in bolla è un inizio.

Io lavoro con le parole e so bene che lasciano tracce profonde in noi, che spesso possono diventare dei semi di cambiamento, che abbiamo la possibilità di modificare e far evolvere la nostra narrativa anche se è un lavoro intenso e difficile.
Ma poi talvolta mi succede di vedere le parole in immagini, foto, movimenti e l’effetto è immediatamente più forte.
Lo senti, nelle viscere.
È successo esattamente questo con le opere di Raqid Shaw incrociate a Venezia: un artista del Kashmir che ha sperimentato esperienze stressanti e dolorose, intense e numerose.
Ma ha saputo rimettersi in bolla.
Con l’arte. Con le immagini. Con la lettura. Con la pratica di prendersi cura di sé, del suo giardino, del suo cagnolino. Tante volte quante necessario.
Mettersi in bolla come forma di cura.
