Uno dei più grandi privilegi del lavoro con gli esseri umani è che continuano a stupirmi per la varietà e la quantità di stimoli che mi permettono di raccogliere. Sempre più spesso la mia attività di psicologa si confonde e si mescola con uno sguardo antropologico sull’uomo, sul suo modo di fare e di essere nella realtà che viviamo ogni giorno.


L’altro grande privilegio di questo mio quotidiano stare con gli altri è il lavoro continuo su me stessa. Lavorare con le persone ci porta ogni giorno a doverci lavorare e aggiungere nuovi pezzi del puzzle che abbiamo da completare in questa vita e gli altri spesso diventano uno specchio che ci mostra cose nostre. 

Homo sum, humani nihil a me alienum puto

Sono un essere umano, niente di ciò ch’è umano mi è estraneo

(Publio Terenzio)

Al tramonto, sotto casa.

Quando ho visto questo soffione ho pensato che ci somiglia più di quanto pensiamo. Ognuno di noi è formato da tante componenti diverse che facciamo emergere semplicemente in momenti diversi, con gli altri o quando stiamo da soli.

Siamo unici e allo stesso tempo un insieme di tanti dettagli. Tenerli tutti insieme a modo nostro è certamente uno dei lavori più impegnativi e interessanti da fare, in un periodo in cui ci possiamo muovere poco e le nostre differenze scalpitano un po,’ cercando un nuovo modo di stare insieme.


Integrare in modo nuovo tutto quello che siamo è diventato un tema importante del mio lavoro in questo periodo complesso: provo ogni giorno a integrar-mi e provo ad aiutare a integrar-si le persone che lavorano con me, nei percorsi individuali e nella formazione di gruppo. Un lavoro complesso e delicato ma allo stesso molto potente e prezioso perché ci permette di lavorare sulle nostre sfumature e particolarità, per poi valorizzarle anche agli altri.

Diventare consapevoli di noi per dare valore anche nelle relazioni, di qualsiasi tipo.

Concretamente come si fa? Si guarda la propria esperienza biografica con occhi neutrali e si scoprono che tante nostre preferenze sembrano ambivalenti ma sono spesso solo complesse.

Vi faccio qualche piccolo esempio, mio, visto che quelli che raccolgo durante la mia attività sono privati e giustamente protetti dal segreto professionale.  

Cose che tengo insieme a modo mio:


Genere 

Lavoro tanto e da tanto con gli uomini, sono spesso i primi interlocutori che ho nelle aziende, l’unico capo che ho avuto era un uomo, ho avuto tanti colleghi e partner di lavoro maschi  e sono stata cresciuta in un contesto familiare dove le figure maschili erano numerose e affettivamente molto presenti. Concretamente ho passato tanto tempo con un papà, un fratello minore, uno zio poco più grande di me, un nonno e il marito della mia amatissima balia (che non saprei come definire che io chiamavo semplicemente zio).

La mia esperienza familiare femminile è stata piuttosto anomala: una mamma negoziante in un paesino, due zie attive negli ospedali psichiatrici ma soprattutto due nonne molto volitive e attive a livello professionale. Ho iniziato a capire di aver vissuto un’esperienza straordinaria solo con i primi lavori come psicologa, che si sono svolti in ambito educativo e in un consultorio femminile. Per tanto tempo ho lavorato esclusivamente con e per le donne: forse anche per questo mi viene spontaneo oggi risuonare con tutte le tematiche del mio genere, nel privato e nelle organizzazioni.


Età

Oggi lavoro esclusivamente con persone adulte che vogliono migliorare il loro fare professionale ma, arrivando da tanti anni di pratica psicoterapeutica, ho allenato la possibilità di prendermi cura della della persona intera. Amo lavorare con gli adulti perché si possono prendere la responsabilità del loro cambiamento e della loro fioritura: quando gli adulti si danno il permesso di  scegliere chi e cosa vogliono essere è davvero un piacere poterli supportare nel processo.

Eppure, da quando ho memoria, sono circondata da bambini, ragazzini, adolescenti, giovani adulti: all’asilo consolavo i più piccoli, da ragazzina organizzavo giochi per i bambini, all’università davo ripetizioni, ho seguito bambini con disagio sociale dai 3 ai 17 anni, per 6 anni sono stata tutor di tirocinio universitari per studenti poco più che ventenni. Trovo la compagnia di chi è più giovane energica, stimolante, rigenerante e divertente ma da quando sono mamma preferisco frequentarli per piacere e non per lavoro. 


Relazione

Sono cresciuta in contesti di gruppo dove mi trovo a mio agio anche quando sono al centro dell’attenzione: solo qualche giorno mi sono ricordata il mio primo public speaking, in un teatro, davanti a un centinaio di persone, a 8 anni, per presentare uno spettacolo di bambini nel mio paesello. Quando però  voglio decomprimermi, concentrarmi, studiare, creare cerco spazi ampi di solitudine per rigenerarmi, possibilmente in mezzo alla natura e senza proferire parola con nessuno!

I miei esempi di spunto finiscono qui, ma sono curiosa.
E voi? Cosa tenete insieme integrandolo in una forma tutta vostra?