Ho letto parecchio nelle vacanze di Natale: avere tempo a disposizione per me significa imparare qualcosa di nuovo sugli esseri umani. E se non posso farlo stando con altri esseri umani (che ancora è parecchio complicato) mi affido alle parole.

Ho l’abitudine di condividere un po’ di quello che leggo e questo libro ha ricevuto moltissimo interesse da tante persone molto diverse tra di loro: forse il titolo, forse la copertina (bellissima!) o forse quell’invito a resistere all’economia dell’attenzione. 

Fatto sta che non solo l’ho letto con attenzione ma l’ho proprio sottolineato e masticato un po’ prima di scrivere queste considerazioni dal mio punto di vista.

Lo dico subito: mi è piaciuto, molto. Non perché sia semplice, tutt’altro: a volte ho dovuto rileggere interi paragrafi perché non capivo bene tutte le considerazioni dell’autrice sull’ornitologia o le citazioni ultra moderne legate alla tecnologia, ma alla fine lo sforzo è stato ripagato e mi sono anche divertita.

Come quando fai un viaggio scomodo ma trovi davanti panorami mozzafiato. 

Ecco, questo libro parla di cose scomode e posso dire citando l’autrice Jenny Odell “sono uscita da questo libro diversa rispetto a come ci ero entrata”: ho come la sensazione che non sia stato facile neanche da scrivere. 

Ma non tutte le cose belle sono semplici, giusto?

Non farò un riassunto di Come non fare niente. Resistere all’economia dell’attenzione, mi limiterò a condividere le riflessioni che ho trovato più interessanti, spero possano essere utili per pensieri e riflessioni generative. Ma anche per nuove abitudini.

  • Per iniziare facciamo (troppe) cose che hanno poco senso, e perdiamo il contatto con la realtà. Andiamo in automatismo e smettiamo di scegliere a cosa dare attenzione. Che spreco. Che peccato.

 “Vedo persone imprigionate non solo nelle notifiche, ma in una mitologia di produttività e progresso, incapaci non soltanto di fermarsi un momento ma semplicemente di vedere dove si trovano. Questo luogo, così come quello in cui vi trovate ora, grida per farsi sentire. Penso che dovremmo ascoltare.” 

  • Spesso siamo così concentrati sulla produttività e sulla verità da perdere di vista la realtà oggettiva che ci circonda.
  • L’arte e la natura possono aiutarci creando strutture alternative che tengano “aperto uno spazio contemplativocontro il peso dell’abitudine, della familiarità e della distrazione che costantemente minacciano di chiuderlo”.
  • L’imparare a non fare niente è “una sorta di strumento di de-programmazione e un supporto per quelle emozioni troppo dissestate per agire in modo significativo. La pratica del non fare niente ha vari strumenti da offrirci quando si tratta di resistere all’economia dell’attenzione.”
  • Con queste azioni concrete:
  • Imparare la riparazione e la cura di noi stessi (riparazione: che parola bellissima nel mondo dell’usa e getta!) 
  • Ascoltare profondamente, anche il silenzio. Non per favorire la connettività (la famosa condivisione o il disaccordo) ma per facilitare la sensibilità della conversazione con il diverso (il percepire quello che c’è, anche quando è complesso)
  • Trovare un antidoto alla retorica della crescita, perché non tutto cresce sempre ma piuttosto  ogni cosa ha una sua ciclicità e capacità di rigenerazione
  • Distaccarsi dalla realtà non può essere una soluzione, prendere le distanze dal sovraccarico di informazione è necessario per ristabilire equilibrio ma soprattutto perché il mondo ha bisogno della mia partecipazione più che mai. Non è questione di se, ma di come.”
  • Siamo tutti profondamente interconnessi nella realtà, tra di noi e con l’ambiente di cui facciamo parte, eppure siamo così concentrati sulle differenze che ci caratterizzano da non cogliere il valore dell’interdipendenza. 

Potrei citare mille altri argomenti ma vorrei finire con questa osservazione: “se ci si può permettere di prestare in tipo di attenzione diversa, bisognerebbe farlo. Se l’attenzione (decidendo a cosa prestarne) che costruisce la nostra realtà, recuperarne il controllo può anche portare alla scoperta di nuovi mondi e nuovi mondi di attraversarli. […] Questo processo arricchisce non solo la nostra capacità di resistere ma, ancora più semplicemente, il nostro accesso alla vita che ci è donata. Può aprire porte dove non ne vedevamo, creare paesaggi in nuove dimensioni che finalmente siamo in grado di abitare con altri. Così facendo non trasformiamo solo il mondo ma anche noi stessi.”

C’è sempre la possibilità di trasformare il mondo attraverso il cambiamento di noi stessi,  il cambiamento più difficile e più profondo, ma forse quello più necessario.