Tutto quello a cui teniamo può rompersi, ferirsi, sgretolarsi, sbecchettarsi. Spesso è un indicatore per lasciarlo definitivamente andare, segno del fluire della vita.

In qualche caso è così importante e prezioso per noi da giustificare un lavoro extra, difficile e non prevedibile: i giapponesi lo chiamano kintsugi per le ceramiche, gli psicologi azzardano integrazione dell’esperienza e resilienza.

Ci sono tante tecniche, pratiche, metodologie e strumenti: devono essere cercati e sperimentati su di noi. Per valutare se funzionano e se ci soddisfano.

E poi c’è quello che possiamo far tornare intero dopo una rottura: cose, relazioni, sogni , obiettivi…noi stessi. Non è scontato o facile, ma possibile.

Io guardo il vaso di mia nonna, rotto e riparato da un amico, che accoglie il potpourri di rose, regalo di compleanno del mio compagno: un alambicco di doni, di bene, di amore.

Una ricarica che mi rigenera ogni volta che li guardo, che mi ispira mentre lavoro con le persone e mi ricordano che tornare o diventare interi si può. Ed è un processo molto bello: siamo noi la magia.

E voi, cosa volete riparare?